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BREVE STORIA
L’anno 1877 è fondamentale per la storia della registrazione audio perché vede la nascita del fonografo di Thomas Alva Edison. Il fonografo di Edison è basato sull’utilizzo di cilindri ricoperti da uno strato di cera: un dispositivo collegato ad una membrana capta le vibrazioni e le trasmette ad una puntina che pratica l’incisione sulla superficie del cilindro.
Nonostante gli sforzi compiuti da Edison per apportare miglioramenti tecnici al suo fonografo, il mercato stava decretando il successo definitivo del disco.
Edison aveva concepito il fonografo come un’apparecchiatura destinata al campo delle telecomunicazioni, un accessorio da abbinare al telefono che permettesse di registrare messaggi e riascoltarli successivamente, o di incidere messaggi di risposta automatica. Le reazione del pubblico alla sua invenzione fu immediata, ma l’entusiasmo derivava dalla possibilità stessa di registrare la voce umana, e non dal possibile utilizzo nel campo della telefonia.
Il Grammofono di Berliner (1897)
Poco tempo dopo Edison perfezionò la sua invenzione, sostituendo lo strato di cera con un foglio di stagno. L’apparecchiatura era formata da un tamburo girevole di ottone, di circa dieci centimetri di diametro, sulla cui circonferenza era inciso un solco elicoidale. Il tamburo era azionato da una manovella, e si muoveva ruotando su se stesso e spostandosi contemporaneamente in orizzontale. Su un lato del tamburo era posto il
dispositivo per l’incisione, collegato a una membrana, vibrando, captava i suoni e li trasmetteva alla puntina. Dalla parte opposta era montato un dispositivo simile, ma dal funzionamento inverso: le incisioni sul cilindro si trasmettevano ad una puntina, che a sua volta azionava la membrana dell’altoparlante. Il fonografo di Edison, dopo i falliti tentativi di utilizzo nel campo della telefonia, conobbe una grande varietà di utilizzi da parte di utenze diverse ed eterogenee: fu utilizzato da uomini d’affari come strumento per la dettatura, come semplice “giocattolo parlante” , oppure come “scatola musicale”. Fu proprio l’utilizzo a scopo di intrattenimento a determinare il successo del fonografo: grazie ad alcune migliorie tecniche, tra cui la sostituzione della manovella con un motore elettrico, il fonografo iniziò ad offrire una migliore qualità nella riproduzione del suono. Nel 1890 furono installati a San Francisco i primi juke-box basati sul fonografo, destinati alla riproduzione di musica registrata. La reazione del pubblico a questi apparecchi fu decisamente positiva.
Il successo delle prime registrazioni musicali poneva però un problema di tipo tecnico, legato alla rapida usura a cui erano soggetti i cilindri e alla difficoltà di riprodurli su larga scala. Questi difetti segnarono il declino del fonografo, soppiantato da un altra macchina, il Grammofono, inventato nel 1887 da Emile Berliner.
Il Grammofono non funzionava con cilindri ma con dischi. La puntina, vibrando lateralmente e parallelamente alla superficie, disegnava la forma d’onda sul disco incidendo su di esso un solco di profondità costante, in modo simile ai più moderni vinili.
Il sistema di Berliner basato sui dischi era quello che offriva maggiori vantaggi in termini di riproducibilità e affidabilità. La forma stessa dei dischi permetteva di velocizzare notevolmente il processo di stampa. Inoltre il materiale impiegato, lo zinco, li rendeva sicuramente più resistenti dei cilindri: questo permetteva alla puntina di esercitare una maggiore pressione sui solchi, offrendo così una maggiore intensità sonora.
Il registratore a nastro Ampex A-200
Nel 1897 Emile Berliner aprì il suo primo studio di registrazione, con lo scopo di produrre dischi destinati alla vendita per sostenere il mercato del grammofono. Quest’ultimo, infatti, era privo di sistemi che permettessero agli utenti di effettuare le proprie registrazioni. Le uniche fonti per l’ascolto erano costituite quindi dai dischi prodotti negli studi di Berliner.
La registrazione avveniva durante l’esecuzione dal vivo, e le limitazioni tecniche costringevano i musicisti a spostarsi durante la registrazione: il direttore dell’esecuzione li invitava ad esempio ad avvicinarsi al registratore durante le parti soliste in modo da ottenere un maggior volume sonoro dallo strumento. Le sessioni di registrazioni negli studi di Edison si svolgevano in modo analogo: la differenza più significativa in questo caso era la possibilità di riascoltare immediatamente il risultato dell’incisione, grazie al metodo basato sull’elettrolisi utilizzato da Edison per la produzione dei master, adottato in seguito anche da Berliner.
Negli anni’20, la compagnia di Edison era l’unica a fornire ancora cilindri: il minor costo di questo tipo di supporto non ostacolò tuttavia il passaggio definitivo al disco, a cui si arrese anche Edison quando sviluppò il nuovo Diamond Disc. Quest’ultimo fu accolto in modo molto positivo dai consumatori che, secondo una serie di ricerche ed esperimenti compiuti da Edison (i tone tests) lo consideravano in grado di riprodurre il suono in modo pressoché perfetto
La registrazione elettrica: nastri e microfoni
Gli anni ’20 segnano anche il passaggio dalla registrazione acustica a quella elettrica. In ambito musicale il “passaggio all’elettrico” ha segnato una svolta fondamentale, sia per quanto riguarda gli strumenti musicali che, ovviamente, i mezzi di registrazione e riproduzione. Gran parte delle nuove soluzioni tecnologiche che permisero questo passaggio provenivano dai Bell Labs della AT&T: le valvole per l’amplificazione del suono, il microfono a condensatore, e il sistema microfono-amplificatore-altoparlante furono tutte invenzioni determinanti nell’ambito della telefonia, ma altrettanto decisive per lo sviluppo della registrazione e della fonografia in generale. L’uso dell’elettricità permetteva innanzitutto di ottenere un maggiore volume sonoro, grazie all’amplificazione del segnale (resa possibile dall’impiego di tubi a vuoto). La registrazione inoltre poteva avvenire per mezzo di microfoni: il principio era lo stesso dei primi fonografi acustici ma le vibrazioni, invece di essere trasformate direttamente in incisione per mezzo di una membrana direttamente collegata alla puntina, venivano captate dal microfono, trasformate in impulsi elettrici e quindi amplificate. In questo modo il suono al momento dell’incisione risultava molto più potente e ricco di sfumature. I primi dischi registrati con la nuova tecnologia furono messi in vendita a partire dal 1925, assieme ai primi fonografi elettrici.
Il diffondersi dell’elettricità negli Stati Uniti ebbe anche effetti dannosi per l’industria discografica, a causa del sempre maggiore successo della radio: le stesse soluzioni tecnologiche che permettevano la registrazione elettrica erano alla base della nascita dei primi network radiofonici, che trasmettevano diversi generi musicali.
I dischi avevano perso il loro primato nell’ascolto domestico, tuttavia gli ascoltatori di musica classica continuarono ad acquistarli, sostenendo in questo modo l’industria discografica in crisi. La registrazione elettrica creò diversi problemi anche agli artisti: la sensibilità dei microfoni, che da una parte permetteva di catturare il suono in modo più preciso, li costringeva a dosare i movimenti in modo da non creare rumori indesiderati.
Un’altra innovazione tecnologica fondamentale per l’evoluzione della registrazione fu l’introduzione del nastro magnetico. La registrazione magnetica fu studiata e sviluppata da Oberlin Smith, che nel 1888 ne pubblicò una descrizione, e successivamente da Valdemar Poulsen, che nel 1894 costruì il Telegraphone, basato sulla registrazione magnetica. I primi registratori a nastro magnetico furono costruiti dalla ditta tedesca AEG a partire dal 1931, e nel 1935 venne presentato il Magnetophon, che sfruttava i nastri costruiti dalla ditta BASF. La tecnologia del nastro magnetico, sviluppata in Germania, arrivò negli Stati Uniti soltanto dopo la seconda guerra mondiale: nel 1948 fu costruito il registratore Ampex 200, utilizzato per la registrazione degli spettacoli di Bing Crosby e dotato di nastro magnetico prodotto dalla 3M (Minnesota Mining and Manufacturing ).
La registrazione su nastro magnetico è di fondamentale importanza per lo sviluppo delle tecniche di incisione, grazie alla possibilità di utilizzare registratori multitraccia. I primi esperimenti con la registrazione multitraccia furono compiuti da Les Paul nei primi anni ’50: modificando un registratore Ampex 300, Les Paul costruì un registratore multitraccia che gli permetteva di sovrapporre diverse registrazioni col metodo della sovraincisione.
A partire dagli anni ’50 vennero sviluppati registratori dotati di quattro e successivamente otto piste, tuttavia essi non vennero sfruttati appieno ancora per alcuni anni. Il principio della registrazione multipista su nastro rimase sostanzialmente invariata fino agli anni ’80: i cambiamenti più significativi furono l’aumento del numero delle piste, che passarono da quattro a sedici o ventiquattro piste, e l’introduzione di nuove tecniche per la riduzione del rumore di fondo del nastro. Tra le apparecchiature più utilizzate troviamo i sistemi di riduzione del rumore sviluppati dai laboratori Dolby, che si basano su un processo di amplificazione e successiva riduzione di determinate frequenze presenti sulla registrazione. Tali sistemi sono indispensabili in caso di utilizzo intensivo della sovraincisione, poiché aiutano a mantenere a livelli accettabili il rumore di fondo sul nastro.
I registratori multipista hanno costituito per anni la soluzione migliore per la produzione di dischi, ed in alcuni casi vengono utilizzati ancora oggi. A partire dagli anni’80, però, la tecnologia di registrazione digitale del suono iniziò a proporsi come valida alternativa ai multipista analogici. Il costo elevato delle apparecchiature professionali per la registrazione digitale ne ha però rallentato la diffusione negli studi di registrazione.
La qualità della registrazione digitale è arrivata nelle case più rapidamente di quanto non si sia diffusa negli studi di registrazione professionale.
Il compact disc è stato commercializzato quando ancora pochi studi erano in grado di registrare dischi interamente in digitale.
A prima vista può sembrare curioso che il CD, destinato al consumo di massa, si sia diffuso con maggiore rapidità rispetto ai multitraccia digitali. Tuttavia, è necessario considerare che, contrariamente alle logiche di mercato attuali, la produzione di un master digitale a partire da una registrazione analogica negli anni ’80 era un’operazione sicuramente meno costosa rispetto ad una produzione interamente in digitale, che necessita invece di un multitraccia in grado di memorizzare grandi quantità di materiale sonoro in formato digitale. I dispositivi di memoria di massa necessari per immagazzinare tali quantità di dati erano sicuramente più costosi dei nastri magnetici, e fu necessario attendere una maggiore diffusione delle nuove tecnologie (ed un conseguente calo dei costi) prima di poter sfruttare appieno tutti i vantaggi del suono digitale.